«Si, è questo ciò che direbbe un africano vero». Reverendo Godfrey Igwebuike Onah,
vice rettore della Pontificia Università Urbaniana di Roma, parlando il 1° ottobre
ad un incontro dell'Osservatorio sul Sinodo africano che si sta tenendo in Vaticano
in questi giorni, non accetta altre risposte.
I disastri che attanagliano l'umanità nascono dalle decisioni di coloro che non sono
in comunione con Dio:
«Per un cristiano, la pace, la giustizia e la riconciliazione si trovano solo in Cristo».
E allora si, è vero, i Paesi che sfruttano il continente nero hanno messo in
ginocchio milioni di persone, ma la verità è «che tutto questo è stato possibile
con la collaborazione di quei fratelli che hanno venduto la propria coscienza».
Ciò nonostante, spiega il sacerdote nigeriano – alle cui parole fa da sfondo un telo su
cui è dipinto il volto di santa Josephine Bakita, del Nobel per la pace Nelson Mandela,
dell'atleta kenyota Paul Tergat e dell'economista ed ex presidente della Tanzania
Julius Nyerere, per il quale nel 2005 è stata aperta la causa di beatificazione –
non ci si deve arrendere ma lottare per riportare la speranza
tra coloro che non ne hanno più.
Parole, quest'ultime, che compongono un discorso “di parte”,
e come potrebbe essere altrimenti? “Certe cose si possono veder bene
solo da chi ha gli occhi pieni di lacrime”, amava dire il Romero d’Africa,
monsignor Christophe Munzihirwa, arcivescovo di Bukavu-Congo,
ucciso nel 1996 per le sue prese di posizione durante la guerra congolese,
quando gridò che nessuna logica politica vale più della persona umana.
Allo stesso modo, il reverendo Onah si sente coinvolto
al punto di non fare sconti a nessuno.
Ce n'è per tutti: per chi ha depredato e continua a depredare la sua terra,
per chi in Italia è contro la convivenza etnica, per chi pensa con malinconia all'Africa
lontana, quando sarebbe già tanto «preoccuparsi degli africani che vivono qui»
e contro chi molto spesso ha tradito il vero messaggio evangelico.
A tal proposito, ricorda come nel 1994, anno della I Assemblea Speciale
per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, il segno più drammatico della distanza
tra la vita reale degli africani e un certo modo d'intendere il cristianesimo
stava nella tremenda coincidenza dell'inizio del Sinodo e l'inizio del genocidio
in Rwanda, «uno dei Paesi più cristiani d'Africa».
Ma ricorda pure come oggi questo continente sia «l'imbarazzo del mondo,
coinvolto nella crisi economica ma non nella ricerca della sua soluzione».
E come, ancora più grave, sia «la marginalizzazione dell’Africa», clochardizzazione
la chiamava il teologo Jean Marc Ela: uomini e donne che non contano perchè
non servono al mercato e che oggi trovano la tomba nelle acque del Mediterraneo.
Comportamenti indegni che alimentano la rabbia, anche perché «se al posto
degli uomini morissero giraffe e scimpanzé la comunità internazionale si mobiliterebbe».
L'avvertimento del religioso non ha allora bisogno di commenti:
«Se il mondo fa credere ai giovani africani delusi, come già accade in Medio Oriente,
che la risposta ai problemi è nell'assalto al resto del mondo, a tremare saranno tutti».
Per il momento la presenza dei missionari che insegnano il perdono rappresenta
un deterrente all'esplosione della rabbia. «Se non per ragioni umanitarie,
almeno per questo la sorte
Qualsiasi cosa la Chiesa fa per rinnovare lo spirito cristiano in Africa,
lo fa per il mondo intero».
Lo svolgimento dell'assemblea episcopale dal 4 al 25 ottobre – appuntamento al quale
il reverendo parteciperà nelle vesti di “esperto” - rappresenta allora una grossa
opportunità di comprensione: «Il Sinodo, che vuol dire “camminare insieme”,
è un incontro dei vescovi della Chiesa nella sua universalità e non solo dei vescovi africani.
Ed è bene che sia fatta a Roma perché solo così possiamo sperare di essere ascoltati
da quella comunità internazionale che è espressione dei paesi più ricchi e potenti».
In finale, da quei Paesi che decidono il destino di troppa umanità.
di Mariaelena Finessi ROMA, domenica, 4 ottobre 2009
(ZENIT.org)
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